E’ ancora buio quando dalla mia città partiamo, con Alessandro e Luciano, per una escursione sui monti del Pollino dove raggiungeremo, insieme agli amici del Cai Catanzaro, la Serra delle Ciavole. Lasciamo le auto a Colle dell’Impiso e le nostre gambe sono già pronte per la scalata. Serra delle Ciavole è un Sito di Interesse Comunitario, il suo nome deriva dalla “taccola” un corvide che nel vernacolo locale, è detto ciavola. Ha due vette, la più bassa di 2127 metri (considerata la principale) e quella geografica di 2130 m. Si trova a nord della Serra Dolcedorme, quest’ultima la maggiore vetta del Pollino e di tutto l’appennino meridionale (2267 m), dominando sul versante sud il Piano di Acquafredda, a sud-ovest il Piano di Pollino, a ovest il Piano di Toscano e nord-ovest la Piana del Pollino. Quando raggiungiamo i piani è una magia, sei circondato dalle maggiori cime del massiccio: Serra del Prete (2181 m), Monte Pollino (2248 m), Serra Dolcedorme (2267 m) , Serra delle Ciavole (2130 m)  e Serra di Crispo (2054 m).
Il cammino inizia percorrendo un sentiero immerso in una faggeta dove vivono molte piante secolari, dei “carbonai”, a seguire i piani Alti di Vacquarro, la radura di Rummo e i Piani di Pollino, quest’ultimi nati dall’effetto erosivo dei ghiacciai presenti in epoca preistorica. Si prosegue in direzione “Ciavole”, dove i primi loricati a salutare sono gli elegantissimi “Gendarmi”, i cosiddetti guardiani del Parco, sembrano inchinarsi al nostro passaggio.
Da qui comincia la scalata per la vetta geografica (2130 m), raggiunta dopo aver valicato il “cimitero dei pini loricati”, si racconta che al termine del loro ciclo vitale, si recano qui per morire. Emozione infinita ammirare anziane piante senza la corazza, la “lorica”, che ricopre il fusto, piegate e accasciate al suolo. Ma un albero non muore mai, diventerà la casa di una notevole varietà di microrganismi, i tronchi caduti forniscono cibo e rifugio a centinaia di specie diverse, diventano habitat importante per muschi, licheni, invertebrati che concorrono alla decomposizione del legno e all’arricchimento dell’humus, nonché un substrato fertile per la crescita di nuove piante. Possiamo affermare che dopo la morte gli alberi vivono una seconda vita.
Si continua per la cima principale (2127 m) che raggiungiamo dopo aver abbandonato la tartaruga di pietra, enorme masso dalla forma di testuggine, tappezzata da stupendi pini loricati. Qui incontriamo molti escursionisti, scambiamo un saluto, una parola, e poi ognuno per la propria  destinazione. Noi proseguiamo per il versante sud, una cresta rocciosa e scomoda. Si attraversano scheletri di pini loricati ed esemplari giovani e ben messi. Fra questi si eleva un singolare pino loricato, la cui ramificazione è stravagante. Sembra a fine vita, ma da qualche ramo sono evidenti infiorescenze verdi. Viene chiamato “Italus”. Alcuni ricercatori italo-americani hanno utilizzato un metodo innovativo per ottenere un’età attendibile, il risultato: 1230 anni, il pino loricato più antico d’Europa. Sono a pochi metri da lui. La tentazione di abbracciarlo, toccarlo è alta, ma non è possibile. Avvicinarsi potrebbe turbare l’ecosistema. Mi accontento di ammirarlo da una giusta distanza di sicurezza. Gli occhi brillano per l’emozione. M’incanto a codesta bellezza, sono ipnotizzato; ritorno alla vita reale quando l’amico Alessandro mi chiama per ripartire. Il rientro dai piani di Acquafredda è malinconico, il mio pensiero è ormai verso “Italus” che mi ha catturato il cuore. L’arrivo a casa è quando gli ultimi bagliori di luce hanno abbandonato questa domenica speciale. Sento che un pezzo di cuore è rimasto lì, tornerò presto a riprenderlo.

Marco Garcea – Accompagnatore Sezionale Escursionismo