Sci e ciaspole sono rimasti nei ripostigli. Nostro malgrado. Abbiamo sperato nel colpo di coda dell’inverno, ma alle nostre latitudini i vari passaggi nuvolosi hanno lasciato una decina di centimetri di neve, troppo poco per risollevare le sorti di una stagione che dell’inverno ha conservato solo il nome. Abbastanza per riempire i social di immagini coreografiche che sono durate il tempo che la neve ha impiegato per fondere, un paio di giorni. Ci incamminiamo verso levante, su un terreno spesso intriso d’acqua, segno di un disgelo avanzato, saltando da una zolla di terra e di erba ad un’altra. In una giornata fredda, investiti da raffiche di vento indeciso tra l’inverno e la primavera. Il cielo reso lattiginoso dal pulviscolo che risale dal profondo Sud e da velature foriere di pioggia segna l’orizzonte di una terra su cui la neve resiste nei versanti esposti a Nord, ombreggiati dal bosco. Chiazze, festoni, strisce a disegnare un paesaggio che ero abituato percorrere tra la fine di Aprile e i primi giorni di Maggio. Sino a otto, dieci anni fa, quando freddo e neve non disdegnavano la mia montagna, quando gli ultimi sprazzi di normalità climatica portavano settimane di freddo intenso e gli sci potevano avanzare per chilometri lungo luoghi dai nomi antichi, Soleo, Tacina, Piciaro. Quando gli sci scivolavano sulla migliore neve della stagione, spessa e ben assestata, che si lasciava incidere dalle lamine con linee eleganti. Procediamo verso le pendici del Monte Femminamorta, intessuto della trama dei faggi spogli e punteggiato delle eleganti e slanciate sagome degli abeti bianchi, sino a intercettare il Soleo, là dove si allarga a formare pozze profonde alimentate da salti di pietra. La foto di gruppo tra il fiume e una larga chiazza di neve restituisce l’immagine di un fatto ormai relativamente nuovo, in corso di consolidamento. Donne, uomini schierati festosamente lungo il fiume che dovrebbe essere fiancheggiato da due vigorose spalle di neve e invece scorre placido tra due ali di terra dal colore spento, su cui timidamente cominciano a tratti ad affollarsi i crochi. Anche questa una fotografia della primavera che si affaccia anzitempo. Parlare di cambiamento climatico è superfluo, è scontato (purtroppo). E diventa sempre di più ansiogeno. Genera timore per il futuro, spinge all’indifferenza, talvolta alla negazione dell’evidenza, alla costruzione di una versione dei fatti falsa e consolatoria. Ma la montagna non mente, è il luogo dove i cambiamenti assumono la veste di verità inconfutabile. È il luogo che piange per lo scempio dell’oggi, e i ghiacciai e i nevai sono le sue lacrime. E noi con i nostri cammini siamo testimoni di tale verità, pienamente consapevoli di ciò che abbiamo visto in passato e di ciò che il tempo corrente offre alla nostra vista. La nostra montagna, il nostro altipiano, quel frammento di Alpi andato alla deriva decine di milioni di anni fa, soffre. Pur conservando la sua struggente immagine di Yukon al trentottesimo parallelo, quell’aspetto che la rende luogo della mia anima. Dopo avere camminato per ore con una temperatura intorno ai quattro gradi, un bicchiere di vin brulè, sapientemente confezionato da Salvatore, scalda il corpo e l’anima. Una bevanda che erroneamente si pensa inventata in qualche rifugio alpino, ad uso di sciatori, e che in realtà viene dall’antica Roma, dai nostri antenati lontani, che amavano il vino addolcito e speziato. Nel nostro Rifugio, nella casa delle Socie e dei Soci della Sezione CAI di Catanzaro. Nel luogo, come dicono giustamente i testi di riferimento, presidio di ospitalità, presidio culturale e del territorio, laboratorio del fare montagna. Luogo di accoglienza, casa dello spirito sociale e dell’amicizia. Da tempo penso a un film che amo molto, ai suoi protagonisti. Come Matt e i suoi amici in un “Mercoledì da leoni” aspettano la grande onda, il muro di acqua su cui surfare come mai prima, io aspetto il grande inverno. Che verrà, ci voglio credere, paradossalmente figlio del cambiamento climatico e dei suoi eccessi, contraddittori e antagonisti. Torneremo, sia pure per una stagione, a scivolare sul manto bianco del grande Nord di casa nostra, respireremo a pieni polmoni aria gelida, berremo vin brulè davanti a un Rifugio sepolto di neve.