25
FEB
2023

La montagna oltraggiata a cura di Filippo Veltri

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CAI CATANZARO, 24 FEBBRAIO 2023

La serata è iniziata con una sequenza di immagini raccolte durante le escursioni dal presidente Piergiorgio Iannaccaro, di una montagna oltraggiata e offesa dalla inciviltà umana. Immagini forti che suscitano una domanda: perchè?

Filippo Veltri giornalista e scrittore ne parla:

Innanzitutto grazie a tutte e tutti voi, grazie Piergiorgio, per l’opportunita’ di stasera che mi viene data di parlare di un tema che mi sta molto a cuore e che sta molto a cuore del CAI io ritengo. La montagna oltraggiata titolo della conversazione di stasera dice gia’ tutto ma io mi sforzero’ di dare una lettura un po’ piu’ ampia di quello che io, voi anzi piu’ di me, avete sotto i vostri occhi da un po’ di tempo. Il culto del turismo montano di massa rischia infatti di distruggere non solo un patrimonio naturalistico enorme, quantomeno di svilirlo, ma di non far capire quello che e’ la montagna, i suoi valori, il suo mondo la sua cultura (vedi lettera di Marco Albino Ferrari); quello che e’ alla fine la Calabria tutta, con i suoi 2/3 del suo intero territorio che sono zona di montagna o di alta collina. Pale eoliche, grandi impianti di risalita, sporcizia dei boschi e incivilta e tutto questo e’ figlio della non cultura della montagna (ancora Ferrari).

   “La Sila non diventi un parco giochi, un orpello in mano ad algoritmi di multinazionali del web, una sigla e un marchio; non ne ha bisogno. Ha la sua storia, plurisecolare e nobile da celebrare e da cui rinascere. Come dicono i giovani con uno slang culturale, “la Sila va capita”. Lo ha recentemente sostenuto storico Giancluca Passarelli.

Io infatti  ora vi parlero’ di questi temi e gli altri un po’ alla larga, perche’ lo stato attuale lo conoscete tutti voi. Allarghero’ lo sguardo, cerchero’ dunque di dare un senso piu’ alto alla montagna, alla Calabria tutta oltraggiata, agli incendi etc e lo faro’ attraverso le parole di tre grandi intellettuali che amano la montagna, due calabresi e uno assai amico della Calabria. E proprio da lui partiro’.

 FRANCO ARMINIO. Tema: Che cosa e’ o dovrebbe essere la Calabria.

 Poeta e paesologo, consulente del Ministero per il Sud e la coesione territoriale, Franco Arminio è un intellettuale che riconosce nella cultura del riabitare i paesi una risorsa economica e culturale per l’Italia intera, ma trainante soprattutto per il meridione.

«Una terra preziosa. Lo dico da testimone, con uno sguardo mio – dice il poeta Franco Arminio – La Calabria io la definisco un’ isola, la terza d’ Italia dopo la Sicilia la Sardegna, con i suoi lati bagnati dal mare e il quarto un mare di montagna, con il Pollino a nord a fare da barriera. E anche questo può aiutarci a spiegare molti meccanismi culturali e di isolamento»

Più volte Arminio è stato in Calabria, terra della quale dice cosi’, in una delle sue poesie:  «… amo la Calabria, il paesaggio non confezionato, la faccia di chi cammina nel secolo sbagliato. Amo la Calabria a Palmi un po’ algerina, finlandese sulla Sila. Amo il mare che si getta nel treno, i pesci sull’asfalto, le case parcheggiate anche negli occhi dei gabbiani. Non conosco una terra più sensuale, un disordine più esemplare, una grazia più oltraggiata. Questa non è una regione, è un altare».

E il suo pensiero sulla Calabria, Arminio, lo ha ribadito anche all’ indomani della polemica suscitata dalle dichiarazioni di Corrado Augias che ci rimandano alla fin fine a quello di cui parliamo stasera se ci pensate bene. Come scrive sul suo profilo social «augias la ritiene irrecuperabile. Io voglio dire che la penso molto diversamente. Per me la Calabria è uno dei luoghi più potenti d’Europa, io vedo una terra e un mare pieni di avvenire. Forse so che tipo di pensiero sta dietro alle affermazioni di Augias, forse è la lente di una certa sinistra illuministica che fa fatica a maneggiare l’arcaico e l’altrove che nel bene e nel male ancora dimorano nelle Calabrie. Insomma a ciascuno i suoi luoghi. Augias avrà i suoi. Io ho una profondissima simpatia per le terre di Tommaso Campanella e Corrado Alvaro. Capisco la preoccupazione per l’invadenza criminale, ma questo non può cancellare la sensualità, la densità emotiva e la generosità di quelle terre. «Nessun territorio può essere appellato come irrecuperabile. Alcune volte quando si parla della Calabria bisogna capire, e vedere quali sono i fili buoni per intrecciare un po’ di futuro. Altrimenti si corre il rischio che sulla Calabria accada quello che è accaduto con Napoli: una città che produce molta scrittura, riflessioni, poetiche, ma poi i problemi restano lì. La Calabria è una terra abitata da una maggior parte di persone perbene e con una grande tenuta civile. Conviene a tutti avere una Calabria “bonficata”. Al di là di quello che accade sui social, delle parole, c’è un fatto di sostanza. E tutti gli italiani dovrebbero essere meno inclementi con la Calabria ».

I calabresi non se ne sono accorti che c’è bisogno della Calabria.

CARMINE ABBATE – Tema: la montagna al nord e al sud

  Nato a Carfizzi, un paese della Calabria fondato alla fine del Quattrocento dai profughi albanesi che scappavano dalla loro terra invasa dall’Impero Ottomano. Fino a sei anni -DICE- parlavo solo l’arbëresh, l’albanese antico. L’italiano l’ho imparato a scuola. Da giovane sono emigrato in Germania, ad Amburgo, dove inizialmente ho lavorato in fabbrica e, dopo la laurea in Lettere, ho insegnato italiano nelle scuole tedesche. Quando ho deciso di tornare in Italia, ho scelto di stabilirmi in Trentino, a metà strada tra la Germania del Nord e la Calabria. Al di là dei calcoli geografici, mi ha attratto questa terra di confine, perché fin da subito l’ho percepita come terra di contatto e non di divisione tra gli uomini e le culture. Da qui cerco di raccontare con uno sguardo nuovo il Sud e il Nord dell’Europa; qui posso vivere in una realtà che è sintesi e simbiosi dei due mondi e che arricchisce culturalmente e umanamente. E soprattutto qui ci sono le montagne, i paesaggi trentini, che ho imparato ad amare. Lo confesso: essendo nato a pochi chilometri dallo Ionio, con negli occhi fin da bambino il vasto e liberatorio orizzonte marino, all’inizio mi sentivo soffocare dalle montagne, perché le vedevo da sotto. Quando ho cominciato a salire le cime, mi sono accorto che la vista da lassù non aveva nulla da invidiare a quella marina, anzi arricchiva il mio sguardo di immagini e paesaggi che stordiscono come una buona grappa profumata. Vedere le cose dall’alto, dalla maestosità delle montagne, ti fa toccare con mano la nostra pochezza; più la vista ha la possibilità di spaziare, maggiori e più in profondità sono le cose che vedi. Le radici, se le viviamo in maniera folkloristica, non ci portano da nessuna parte, ma se abiti in profondità una terra, ecco che a un certo punto s’intrecciano, le vecchie e le nuove, e si rafforzano a vicenda. Ho sentito l’urgenza di scrivere un romanzo sulla montagna, trentina, svizzera e calabrese. A me interessa la montagna vissuta dalla gente del posto, quella delle malghe e dei prati da sfalciare, dove si andava a fare la legna, che poi si portava a valle con le slitte. Quando si arriva a piedi a Malga Palazzo, che si trova a circa 1.600 metri di altitudine, la fatica dell’ascesa viene compensata dal fascino della vista che si gode da lassù: le montagne che incoronano l’ampia vallata sottostante, l’Adige che serpeggia tra i paesi e le campagne punteggiate di vigneti e alberi da frutto e, in lontananza, la cima innevata del monte Baldo. Amare una terra significa tutelarne l’ambiente, per noi e per le generazioni future.

MAURO MINERVINO – Tema: in Calabria la gente non ama la natura

Parte dagli incendi di alcuni anni fa. I boschi qui non sono mai bruciati per autocombustione e comportamenti distratti. La montagna in Calabria è stata il regno dei mistici e dei briganti, il deserto spirituale dei santi ecologisti in fuga dal mondo e il rifugio preferito di furfanti e irregolari in lotta col potere. Quello della natura silvestre è un mondo ostile e tabuizzato, minaccioso ed estraneo ai più. La storia della Calabria dice che qui la gente non ama la natura che regna per sé. Le montagne che incombono incontrastate sui paesi dalla marina alla Sila fanno paura, e i boschi e le foreste un tempo fitte ed estese sono stati considerati sin dall’antichità un danno più che una ricchezza, «terra rubata» all’agricoltura. I tagli dei boschi per far legna e il debbio, l’incendio regolato di porzioni del manto forestale per far posto ai coltivi e ai pascoli, sono sempre stati praticati da contadini e pastori per limitare l’estensione delle superfici considerate improduttive. La storia della letteratura calabrese è costellata di incendi e fuochi appiccati, dal cupo romanticismo dei racconti silani di pastori e carbonai di Nicola Misasi («che il fuoco non si spenga»), fino all’incendio nell’oliveto che mette fine a Le baracche di Fortunato Seminara, per arrivare alla vendetta mafiosa che brucia i terreni della piana lametina nell’ultimo romanzo di Enzo Siciliano, La vita obliqua: spesso ciò che sta sulla terra è destinato ad ardere e a finire in cenere. Persino Cesare Pavese negli anni del suo confino a Brancaleone ha sentito avvampare sottopelle la forza del fuoco che serpeggia e cova nascosta nella metafisica di questi luoghi di Calabria al punto da trarne ispirazione per il suo romanzo Fuoco grande. 

La più grande risorsa pubblica di questa regione, la terra e le aree protette, negli ultimi 50 anni è stata pero’ cancellata e immiserita in nome della speculazione continua e degli scambi incrociati del consenso. Il settore della forestazione in Calabria è un’altra delle piaghe dolorose della crisi civile di questa regione. Le inchieste sulla corruzione dei dirigenti sono all’ordine del giorno. Chi appicca i roghi delle aree verdi che ogni anno a centinaia divorano con ordine geometrico macchie e boschi in ogni contrada della Calabria? Non c’è forse una regia occulta anche per gli incendi che scoppiano ogni estate in questa regione in cui tutto ormai è occulto e trasversale? Chi ha interesse a bruciare, e perché? La colpa è  della mafia? E gli speculatori che dopo i roghi incettano biomasse per le centrali, gli intermediari che a vario titolo si disputano fette di territorio per i loro comodi? E i costruttori senza scrupoli di nuovi slums abusivi, e i vecchi pastori di una perduta arcadia che fanno terra bruciata per ridurre i boschi a pascolo per pecore e capre? Si consideri che in situazioni normali non è possibile tagliare nemmeno un ramo all’interno dei parchi, mentre in caso di incendi si ottiene un permesso speciale per la potatura degli alberi. E in questi casi parliamo di alberi carichi di resina, cioè facilmente infiammabili. L’azienda che in Calabria si occupa dello spegnimento dei roghi è poi la stessa che è incaricata della bonifica delle aree incendiate: “Calabria Verde” (che con legge regionale 25 del 2013 ha sostituito le funzioni delle Comunità Montane). Altro dato anomalo registrato dalla Protezione Civile calabrese, è il boom di iscrizioni di nuove ditte boschive nate negli ultimi 5 anni. Non poche sono in odore di mafia.

L’ATTUALITA’

Tornando su un piano di realtà, nessuno più custodisce i boschi. Nessuno più sa come si fa. Non i forestali, non il Corpo Forestale (diventati Carabinieri, scarsi di mezzi e con poca esperienza), non i volontari-disoccupati delle squadre antincendio. Sapeva come farlo la gente di montagna. Una volta lo facevano i boscaioli e i «mannesi», gli operai forestali di un tempo. Sapevano tagliare le piante mature, e sapevano come trattare e accudire il fuoco nei boschi anche i carbonai: loro il fuoco sapevano appiccarlo e custodirlo, sapevano come controllare la fiamma e circoscriverne il pericolo dell’incendio nei boschi. Giorno e notte si «vegliava innanzi alla carbonaia che ardeva, mandando in alto le sue vampe tra nuvoli di fumo» (Nicola Misasi, «Capanna di carbonaio»). I carbonai vivevano per mesi alla macchia nei capanni, vigilando la carbonaia.

  4 ANNI FA invece non sono bastati i Canadair, le squadre di vigili del fuoco e gli interventi della Protezione Civile a mettere fine a questo scempio di roghi incontrollati che da anni fa olocausto dei boschi e dei monti della Calabria che brucia. La Calabria e’ andata a fuoco, in tutti i sensi. bruciati i boschi secolari, la Sila, il Pollino, l’Aspromonte,  bruciati i parchi nazionali e le oasi naturalistiche, la Pineta a Siano, da cui dovremmo, si dice tra l’altro, ipocritamente, saper trarre opportunità di sviluppo per un «turismo sostenibile».

   Domani pagheremo di nuovo con le frane e con le alluvioni ciò che il fuoco ha distrutto in estate. Con il seguito dissimulato e peloso di pretese e lamentazioni rituali. La pianificazione del territorio in questa regione continua ad essere una piaga. Si costruisce ovunque, sparisce la campagna, il sacco del territorio favorisce l’espansione senza limiti. Il paesaggio è abusato senza soste, la bellezza dei luoghi stuprata di continuo.

Imbroglio di strade nuove scavate tra le montagne di granito, strade che si incrociano e solcano la Sila e scavallano sull’Appennino, fino al Pollino verso Nord, fino alle Serre verso Sud.

Lì HO FATTA TROPPO LUNGA…CONCLUDO:  Predrag Matvejevic – “la Calabria è una terra strana, in realtà è quasi un’isola, una passerella alta e stretta tra due mari, la strada interrotta verso la Sicilia, l’ultimo bivio dell’Europa che prepara il salto verso il Mediterraneo profondo. È una terra di confine, uno di questi posti che viene sempre prima o appena dopo che ci si lascia tutto alle spalle. Ma il mare da voi è così vicino alle grandi montagne dell’Appennino, più che in tutto il resto d’Italia, e quasi ti viene incontro da tutti i lati. La montagna scura e il mare che vi specchia ed è vicino a tutto, così anche il paesaggio ha qualcosa di dilagante, inarginabile. Il Mediterraneo illumina anche le montagne, porta il sale delle onde fin dentro ai boschi, alla grandezza della Sila. Mi piace la Calabria, c’è più vita, e c’è più disordine in posti così. Per me conta molto, è importante il disordine. È una cosa salutare”. 

 CONCLUDO DAVVERO:  Nelle mie peregrinazioni silane spesso mi perdo e mi chiedo: dove sono i resti dell’antica Acerenzia o di Jure Vetere con i richiami spirituali come Monteoliveto e San Bernardo che riportano ad altre impronte gioachimite sparse sull’altopiano. Dove sono LE VERE Valle Piccola, Cuturelle, Caporosa, Fantino; poi Torre Garga, Lagaro’, Righio, Germano, Cagno, Ceraso, Rovale, Silvana Mansio, Croce di Magara, Sculca, gli sparuti villaggi della Riforma Agraria composti di poche case in semioscurità.

   Contrade e minuscole frazioni di una Sila gentile mentre avanza il grande CAOS della Montagna oltraggiata e vilipesa. Arrivano le domeniche da incubo, sono gia’ arrivate anzi con il caos di questi giorni a Lorica e a Camigliatello innevati: dal Semaforo a Villaggio, dallo Spineto a Lorica, da Silvana Mansio a Camigliatello auguriamoci tutti Buona fortuna!

Per valorizzare la montagna – ha scritto nella lettera ai soci del CAI Marco Albino Ferrai – bisognera’ far cultura.

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